Weltraum

Sy - CDr digipack - 2009

Released by Toxo Records

CDr in three-sided weaved cover with inner page

Price: 7 €

 

 

REVIEWS

 

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VITAL WEEKLY 714

Weltraum is a trio from Naples, Italy, operating since 2003. In 2006 they released an ep for Lona Records, "Traum/Trauma". In 2008 Weltraum turned into a trio of P'ex (guitar, prepared guitar, metals) , SEC_ (synth, electronics, microphone) and Luca Piciullo (drums, bells). In this line up we find them on their new release "Sy", that was produced in their home studio. In their noisy soundscapes they spread around a primitivism that is very seductive. They are deliciously anarchistic in their approach. They create expressive and emotional textures and collages that work very immediate and are full of a sense of urgency. Sometimes they come close to rock music, using primal rhythmical structures. But they do not engage completely in the vocabulary of rock music. The spirit and emotion of rock however is definitely present in their music and not to denied. In fact they keep a perfect balance between rock and pure noise. This is very explosive and burning music that comes
very close to your nerve system. Yes, they make their point very effectively.

Dolf Mulder - Vital Weekly 714

 

Sette movimenti ondivaghi, sette tracce, sette rizomi.

Un rizoma è qualcosa di più di un arbusto: non ha linee, circola in particelle autoriproduttive, ha un dna multiplanare, è infinito al suo interno. Questi sono i Weltraum, ovvero P'ex (chitarra preparata e metalli), Luca Piciullo (batteria e campane), _Sec (synth, elettronica e microfoni).

Un tempo adoravamo i Laddio Bolocko, c'era freschezza lì dentro, krauta ed ermeneutica; i Weltraum hanno il loro corpo senza organi appollaiato su quelle stesse coordinate fantasmatiche, ma in loro c'è l'infinita ciclicità del caos, la profondità oceanica di ciò che è occulto, la caduta tra la materia e l'antimateria. Si parlò per qualche stagione di quel miracolo chiamato The union of a man and a woman, con cui il gruppo in questione può condividere l'età, approssimativamente giovane, ma qui dentro non c'è taglio e ritaglio, questi brani sono totali perché  diretti, senza copia/incolla, suonano così perché sono così.

Concatenamenti collettivi, rotture e riorganizzazioni mimetiche, inversioni e cervelli deterritorializzati: "non c'è speranza" c'è scritto sulle note, non c'è veemenza, lasciate il cuore da qualche altra parte, perché qui ogni strumento è doppio, poi triplo e poi moltiplicabile al rizoma ed è quindi dovunque. L'ascoltatore è condannato a morte sotto questi suoni...

I Weltraum sarebbero capaci di far suonare un synth come un vulcano ed una chitarra come una meringa, hanno coordinate mentre non ci sono coordinate nel loro manifesto programmatico: prendono un suono e lo capovolgono, un barile di benzina diventa una pianta carnivora, una lastra di metallo un igloo per animali spaziali. Non si sa da che direzioni stiano arrivando gli schiaffi, i calci, se questi siano abbracci o addii. E' una musica che fulmina, che chiede attenzione alla stessa maniera di una persona che saluti da un treno e non rivedrai mai più. Non sai se dopo sarai esausto, morto, vivo e vegeto; quello che conta è rimanere collegati al tragitto, camminare sulle acque, sfondare montagne per trovarsi dall'altra parte del nulla. Segnatevi questo nome: mettetelo sulla lista nera oppure portatelo sulla vostra isola deserta ideale. Ne riparleremo in sede appropriata.

(7.7/10)

Salvatore Borrelli

http://www.sentireascoltare.com/recensione/6198/Weltraum-sy.html

 

Intervista a SEC_

Dopo gli A Spirale, seconda ricognizione del Sud Italia alla ricerca (un po’ tardiva) di musica sperimentale, rumorosa e non allineata. SEC_ è lo pseudonimo di chi nella band sta ai synth e all’elettronica, ma stiamo parlando di un ragazzo che collabora e presenzia in vari dischi di un “giro” che quest’intervista un po’ descrive.


Perché il nome Weltraum?

SEC_: Un nome non ha molta importanza, perde ben presto il suo valore semantico e rimane soltanto un indicatore. Il problema è che Weltraum in tedesco significa spazio, più esattamente spazio siderale, e probabilmente se facessimo un tour in Germania verremmo visti come un gruppo space rock di ispirazione Tangerine Dream…

Io ascolto anche industrial. Voi vi basate molto su un certo tipo di percussioni, inserite in un contesto tipo noise, quindi mi ci avete fatto pensare. Le percussioni sono il perno – o uno dei pilastri - del vostro progetto? Avete voi a vostra volta ascolti industrial?

Beh, direi che di industrial ce ne siamo sorbiti parecchio, ma probabilmente ciò che ha formato di più la nostra sensibilità in questo senso sono le contaminazioni che l’industrial ha avuto con tanto altro. Penso agli Swans di Mike Gira, ai Godflesh, a Caspar Brotzmann, ai Techno Animal e naturalmente ai This Heat, che sono forse i precursori di tutto questo. 
Le percussioni hanno un valore fondamentale nel progetto. Oltre alla batteria usiamo campane, lastre di metallo con piezoelettrico, tubi. Ma la cosa più importante, che costituisce una delle idee di fondo del progetto, è che cerchiamo di usare ogni strumento come una percussione (chitarra ed elettronica compresi) e di conseguenza di lavorare sui timbri piuttosto che su altri elementi come l’armonia, la melodia… Questo, si sa, è esattamente l’approccio di un percussionista.

Visto questo tipo di impostazione, com’è un vostro live?

Difficile rispondere. Molti ci hanno detto che è più coinvolgente del disco. In effetti il nostro live è molto potente. Dal vivo è spesso difficile riuscire a far convivere in maniera ottimale la potenza e la ricerca timbrica, per cui tendiamo a far prevalere il primo aspetto. Per questo, in generale, non cazzeggiamo più di tanto con ferraglie, campane e percussioni di sorta, ma cerchiamo di usare questi oggetti in maniera efficace e mirata. Il fulcro del nostro live rimangono i pezzi.
Documentandomi in rete, torna spesso la presentazione del disco da parte dell’etichetta, che recita “no melody, no meaning”. Vi va di commentare?

Riprendo quello che ho detto prima arricchendolo di presuntuosi slanci filosofici: non ci interessa la melodia, non ci interessa ciò che costituisce il lato “musicale” di uno strumento. Ci interessa piuttosto il timbro, lo scatto, il taglio, perché no, il ritmo. In una parola ci interessa la materia piuttosto che il concetto. Per questo trovi scritto “no meaning”. Il significato è istituito dall’alto, ha in sé la necessità di un rimando ideale, di un rimando a qualcosa di intellettuale, di fondativo, una traduzione o un’interpretazione. Invece la materia non è nient’altro che quello che è, quello che ti tocca o ti ferisce. Sensazione e nient’altro.

Come mai avete sviluppato un progetto di noise puro (Endorgan)? Siamo sempre nell’ambito del motto “no melody no meaning”?

Il motto vale sempre, ma è una cosa personale, una consapevolezza. Non stiamo certo a farci le pippe sul se abbiamo messo troppo significato o troppa melodia in un pezzo! Al di là della speculazione, che in fondo ha valore politico ed è il frutto di un’esperienza di vita e di pratica di ricerca, quando si tratta di suonare si suona e basta. Endorgan è semplicemente un’altra strada, un’altra possibilità di fare musica. E, cosa non da poco, è un progetto più snello e flessibile, che ci permette di suonare più facilmente live perché è in due, senza batteria e più basato sull’improvvisazione.

Pare abbiate collegato anche l’artwork dei vostri dischi a questa vostra impostazione mentale. Chi l’ha pensato così e perché?

L’artwork è realizzato da Pasquale Napolitano, mio fratello ed ex bassista del gruppo. Con lui c’è è un rapporto di collaborazione molto fruttuoso, che deriva senza dubbio da questa “impostazione mentale” condivisa e da un’estetica che abbiamo, in qualche modo, maturato insieme. La grafica è assolutamente astratta e forse non è inappropriato l’aggettivo “noise” per descriverla. Si tratta di disturbi, di disposizioni all’apparenza geometriche ma che si rivelano in realtà caotiche (non viceversa, mai ristabilire l’ordine dietro il caos!), di tagli netti. Tutto questo è davvero vicino alla nostra musica.

Intervistando gli A Spirale, si è parlato di un network di band del centro e sud Italia. C’eravate anche voi. Esistono collaborazioni tra gruppi? C’ è un terreno comune?

Gli A Spirale sono di sicuro il gruppo che ha dato una scossa reale alla musica in Campania. E questo perché il loro lavoro non si limita al proporre musica nuova e praticamente inascoltata prima da queste parti: è piuttosto un lavoro totale, dove fare musica significa immediatamente collaborare con altre persone, mettere in circolo energie dalle fonti più eterogenee, invitare musicisti da tutto il mondo per accrescere lo scambio (e in qualche modo la confusione…). Sì, con gli A Spirale c’è una strettissima collaborazione, io suono con Mario e Maurizio e il nostro progetto si chiama Aspec(t). In più collaboro con loro e con altre persone all’organizzazione del festival ALTERA! che è alla terza edizione e del Pestival, che è la programmazione mensile di musica sperimentale a Napoli. E come se non bastasse io e Mario abitiamo anche nella stessa casa!

Al di fuori di questo cerchio italiano, chi sentite vicino al vostro modo di intendere la musica? Potendo decidere senza limiti di sorta, con chi vi fareste un tour a suonare in giro per il mondo?

Sightings, Moha!, Bark, ma anche Lasse Marhaug, Rudolf Eb.er, a suo modo Merzbow, e tanti altri. Credo che, con un po’ di impegno, non sarebbe impossibile organizzare un tour con ciascuno di loro.

La musica in rete. Visto come distribuite il vostro disco, farvi dire due cose sull’argomento mi pare giusto.

Il nostro disco è scaricabile in rete dal sito della netlabel Second Family Records. Approvo la musica in rete senza condizioni. È la realizzazione e la dimostrazione che la proprietà intellettuale è un stupidaggine, che la musica deve arrivare ovunque per creare in ogni posto qualche miscuglio strano e a suo modo mostruoso. Questo significa per me “creare”. Il problema ovviamente è quello di riuscire a fare soldi. Un musicista dovrebbe essere messo in condizione di guadagnare qualche soldo con i suoi concerti, se non altro per riuscire a continuare a suonare in giro, ma il nostro sistema abbandona veramente i musicisti a se stessi e alle loro difficoltà. Bisogna senza dubbio alimentare il circuito dei piccoli concerti, indipendenti, anche casalinghi, cercare di coinvolgere più persone e dal basso, far girare i soldi e instaurare un circolo virtuoso. Non la vedo una cosa semplice…

Il più classico dei “cosa bolle in pentola” finale…

Speriamo di riuscire a organizzare un lungo tour europeo per la fine dell’anno o l’inizio del prossimo. Anche andare in Giappone o a Hong Kong ci piacerebbe. È in programma anche uno split in 7” con i Ne Travaillez Jamais, altro gruppo di Napoli straconsigliato. Dopodiché, se non ci avranno ancora ammazzato, inizieremo a lavorare al nuovo disco.

::Weltraum su Audiodrome::

A cura di: Fabrizio Garau [fabrizio.garau@audiodrome.it]

Gruppo: Weltraum [www.myspace.com/weltraum]
Intervistato: SEC_ 

Data intervista: aprile 2010

 

 

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